Famiglia

Dove vanno i marinai se le vite s’incagliano?

Russi, rumeni e indiani, sessanta fra marittimi e ufficiali da più di un anno sono senza stipendio. Bloccati dal diritto internazionale

di Redazione

Vivono incagliati nel porto di Venezia. Intrappolati in una storia troppo grande per loro. Sono russi, rumeni, indiani. Marinai e ufficiali di navi mercantili truffati dagli armatori, beffati dalle compagnie di navigazione e tenuti in ostaggio da un diritto internazionale inesistente. Al pontile nord di porto Marghera l?equipaggio russo della City of Virgina lotta da un anno e mezzo contro un nemico invisibile. Akhin Khalim, comandante dell?equipaggio, è di Pietroburgo. Ventisei anni di mare, tutta la sua vita. Con la compagnia russa di navigazione, Ob Irtysc, ha portato il suo equipaggio dal Mar Nero attraverso Grecia, Tunisia, Libano, Siria, Caraibi, Panama. Finché la compagnia ha affittato la barca a un noleggiatore greco, Eurostar, che ha messo una bandiera di comodo, panamense, per non pagare le tasse di navigazione, e ha smesso di pagare gli stipendi. Poi Eurostar è sparita nel nulla, ma ?radio banchina? afferma che ha cambiato solo di nome e ovviamente di porto. Ora la compagnia sta cercando di sbarazzarsi dei suoi scomodi occupanti che sono riusciti a far sequestrare la nave dal pretore di Venezia e non mollano. Qui hanno vissuto senza elettricità, raccogliendo le cicche di sigarette e aspettando la solidarietà di una città che non si accorgeva neppure di loro. Le ultime provviste portate da don Mario Cisotto, della fondazione Stella Maris, sono finite e due membri dell?equipaggio hanno iniziato lo sciopero della fame. Sul pontile che porta alla nave sono attaccate reti di pesca. Le chiamano televisioni, perché hanno la forma di uno schermo. Ogni tanto qualche membro dell?equipaggio le tira fuori dall?acqua nella speranza che un pesce poco furbo sia rimasto impigliato nella rete. Sopra il ponte della nave ci sono anche le vecchie automobili che i marinai hanno comprato da uno sfasciacarrozze e rimesso a posto, nella speranza di poterle portare in patria, visto che in Russia sono carissime. «L?ultima volta che ho parlato con la compagnia, mi hanno detto che potevo scrivere al Papa o a Boris Eltsin, tanto non sarebbe cambiato nulla», dice il comandante dell?equipaggio seduto in una piccola cabina. Il volto corrucciato e una rabbia non ancora fiaccata da un anno e mezzo di braccio di ferro con i signori del mare: gli armatori e lo spietato mercato. «Mi hanno detto che se lasciamo la nave, in Russia ci daranno due mesi di stipendio in rubli. Il che vuol dire che ci pagheranno con aria fritta. Niet, noi di qua non ce andiamo». I marinai continuano a lavorare nel ventre della nave, facendo manutenzione dei motori perché un giorno potrebbero tornare in mare, e forse anche a casa. Nellle verdi acque del pontile nord di Porto Marghera ci sono solo loro e la nave consorella, City of Pireus, stessa storia, stesso destino infame. E poi un instancabile garibaldino del mare, il sindacalista Antonio Blasi, che li assiste: «In questa vicenda c?è chi si lava le mani e chi fornisce il sapone», dice il rappresentante sindacale della Filt-Cgil, affiliata all?internazionale dei marinai con sede a Londra, Itf, che da mesi si batte per trovare il bandolo della matassa. «La compagnia si affida a un armatore che impiega equipaggi di Paesi molti poveri per pagarli una miseria e non firmare contratti. Una volta arrivati a destinazione, gli armatori spariscono e le autorità giudiziarie sono obbligate dai creditori, le agenzie marittime, e dalle richieste dei marinai a sequestare le navi, ma finisce sempre che il giudice dichiara la sua incompetenza ambientale e li indirizza al Paese di origine. Questa è la globalizzazione dei mari: il proprietario della barca è russo, l?armatore greco, la bandiera di comodo panamense e l?equipaggio possibilmente indiano. Insomma, una grande ?ciavada?, come si dice qui a Venezia». Blasi combatte questa battaglia da solo. O quasi. Le sue missive al governo italiano, al consolato di Panama, alle rispettive compagnie di navigazione, al pretore di Venezia e all?autorità portuale servono a poco perché non esiste una legge che governi mare e marinai. Ci sono solo convenzioni internazionali dell?Organizzazione internazionale del lavoro, che non tutti i Paesi sottoscrivono e nessuno rispetta. «Sono i galeotti del 2000», dice don Mario Cisotto della fondazione Stella Maris, che negli ultimi mesi si è attivata per rendere più operativo l?antico apostolato del mare, dando assistenza ai marinai in protesta, organizzando partite di calcio fra gli equipaggi e soprattutto cercando di coinvolgere la città che dà le spalle al suo porto. «Sono costretti a lavorare senza contratto nè sicurezza sulle navi. L?uso dei container uccide i tempi morti e non lascia neanche più tempo ai marinai per scendere a terra. Non esiste contatto fra loro e la città. Io per esempio mi sono accorto della loro battaglia perché ho dato un passaggio a un marinaio che faceva l?autostop». Sergei, primo ufficiale, 15 anni di mare, ride: «Mia moglie mi ha detto: senza soldi non venire a casa. La prossima udienza dal pretore sarà a dicembre. Cosa dobbiamo fare? Chiamare la mafia russia per cercare gli armatori?» Anche sulla nave rumena Aiud poco più in là, la situazione è la stessa. La nave si chiama Aiud come la città dove Ceausescu aveva costruito la prigione più feroce per i dissidenti politici. Aiud, appunto, come il presagio di una grande disgrazia. La nave della compagnia statale rumena Navro è ancorata qui a Porto Marghera, da tredici mesi. La gloriosa flotta del regime comunista che la democrazia e le ?pitture?, come si chiamano in gergo le mazzette, hanno inghiottito nel giro di pochi anni. Sul ponte i marinai osservano con tristezza la banchina deserta, nella speranza che accada qualcosa, qualsiasi cosa. In tutto il mondo ci sono 1500 marinai a terra che aspettano di essere pagati dalla Navro, 500 che occupano le navi in tutti i porti del mondo. Qui, dopo 35 giorni di freddo e fame, senza gasolio, elettricità e viveri, i marinai sono riusciti ad avere la solidarietà dei frati e della Croce Rossa, del vicesindaco Gianfranco Bettin. L?Aiud è un mostro: motore di 8000 cavalli, 150 metri di lunghezza, spazio per 15 mila tonnellate di merce, 5000 dollari al giorno persi stando in portoi. Eppure oggi l?Aiud assomiglia a una ?stramp steamer?, una carretta del mare che probabilmente andrà a morire al riparo degli occhi del mondo nell?ansa di un fiume. Prima di arrivare qui, l?Aiud è andata in fiamme, a Dubai. Il fuoco è stato soffocato, ma una volta giunta in porto a Venezia, è divampato di nuovo. La puzza del mangime di animali, a distanza di mesi, è ancora insopportabile. Nella cabina di lusso il suo comandante, Stan Fulger, beve l?ultima bibita rimasta e parla con voce roca dell?inganno di tutta una vita: il mare. «Il comandante è l?ultimo a lasciare la nave», dice, «ma sono passati troppi mesi». Poi parla sottovoce come se parlasse a se stesso. Parla dei dirigenti della compagnia Navro che sono finiti in prigione perché prendevano mazzette e affittavano le navi ad armatori senza scrupoli i quali non hanno mai pagato gli stipendi. Forse sono i 2000 dollari di stipendio mai arrivati che lo fanno parlare con nostalgia del passato: «Prima (con i comunisti – ndr) le cose giravano poco, ma c?era controllo, oggi tutto gira ma non c?è più controllo», continua in perfetto inglese, «lavorare aiuta a non pensare, diceva Lenin. E invece oggi non faccio che visitare le chiese di Venezia». Ma il suo viaggio è finito e lui lo sa Lo sanno anche i suoi marinai che ormai sono disperati. Hanno provato di tutto: anche a impazzire. L?ultimo si è buttato sotto una macchina per finire in ospedale e uscire dall?incubo, un?altro ha cercato di dare di nuovo fuoco alla nave. Antonio Blasi conclude: «Se questi marinai se ne vanno possono essere accusati di abbandono della nave; se restano, muoiono di fame. È il destino dei dannati del mare, uomini sotto sequestro, vittime di un mercato che non ha più lacci. In mare non esiste controllo né giustizia. Occorrerebbe almeno istituire un fondo assistenziale per marinai attraverso una tassa d?approdo». ?


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